Biografia cadorina

La grandezza del Cadore

Giovanni Zangrando

Pittore eccelso

di Mario Ferruccio Belli

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di aprile 2009

Nato a Trieste da padre di Vodo, fu apprezzato ritrattista. Dipinse la duchessa di Hohenberg, uccisa a Serajevo con l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo. Partecipò a mostre in svariate città tedesche e contribuì a creare a Trieste una generazione d’artisti

Giovanni Zangrando di famiglia oriunda da Vodo di Cadore, era nato nel 1867 a Trieste, città della cui cultura e modo di vivere era imbevuto, tanto che è stato definito il grande ritrattista “serenamente compiuto”. Il padre era emigrato giovanissimo da Vodo approdando, non si sa come, a Trieste dove aveva trovato lavoro da falegname. Erano i tempi del Lombardo Veneto. Giovanni Zangrando Giovanni aveva frequentato le scuole elementari e medie, imparando presto la lingua tedesca obbligatoria in tutta la monarchia danubiana e dunque anche a Trieste. Dimostrò presto una speciale propensione al disegno tanto che il suo insegnante lo segnalò per un grazioso disegno a pastello intitolato “I fratini.” Il quadretto di proprietà della famiglia è stato esposto nella mostra allestita dal Comune a Vodo nel 2002 e pubblicato nel catalogo a cura di Marta Mazza. Vi si ammirano tre monaci grassottelli e alquanto buontemponi in una cella medievale, ariosa sotto le volte gotiche. Il tutto ben strutturato dal punto di vista della prospettiva, con buona conoscenza della luce, ben al di là degli usuali lavori scolastici. Forte di questa presentazione Giovanni aveva deciso di intraprendere la carriera del pittore ma, purtroppo, il padre era frattanto mancato improvvisamente. Era il 1883, Giovanni contava appena 16 anni e non aveva ancora concluso le scuole. L’Associazione italiana di beneficenza, un ente operante a Trieste a favore dei numerosi immigrati, cui il caso era stato segnalato, lo aveva per così dire preso sotto le sue ali e, grazie a quel provvidenziale soccorso, poté terminare brillantemente la scuola e iscriversi all’Accademia di belle arti a Venezia. Ma i tempi erano duri per tutti, soprattutto per lui che poteva contare unicamente sul sussidio dei suoi benefattori. Era perennemente a corto di denaro, attanagliato dal bisogno, alla ricerca di qualche lavoro che gli permettesse di migliorare la vita e nulla poteva chiedere alla famiglia. Nel 1941, anno della morte, scrisse testualmente che a Venezia trascorreva il tempo lasciato libero dalle lezioni all’accademia, “sognando piatti fumanti di pasta asciutta”. Quel testo richiestogli dal Gazzettino è prezioso per penetrare anche nel suo animo di artista, oltre che per capire la stagione delle ristrettezze. Si legge che riuscì a trovare i primi guadagni il giorno in cui trovò di collaborare con studi di architettura e di ingegneria, naturalmente poco pagato, ma finalmente poté mettere riparo alla fame arretrata. Gli anni dell’Accademia, al di là delle ombre meschine della quotidianità così comune agli studenti, furono tuttavia determinanti per la sua formazione artistica. Fra i maestri Zangrando ricordò sempre con nostalgia il celebre Pompeo Molmenti. Nel 1892 ottenne il diploma e fece ritorno a Trieste. Era cittadino austriaco, poteva muoversi liberamente e ovunque nel cuore dell’impero austro-ungarico che, nonostante tutto, era allora fra le più dinamiche nazioni europee. Parlava e scriveva perfettamente oltre l’italiano anche la lingua tedesca. Però non scelse Vienna per muovere i primi passi nella carriera, preferendo invece portarsi a Monaco di Baviera, dinamico centro culturale secondo soltanto a Parigi grazie all’Accademia. Dopo essersi iscritto seguì i corsi tenuti da un allora famoso professore di ritratti per tutto il 1893. Ma anche a Monaco di Baviera scoprì che per mantenersi era più facile offrire collaborazioni, per quanto saltuarie, agli studi professionali di urbanistica piuttosto che praticare la professione del pittore. L’anno seguente ritornò perciò a Trieste dove era convinto esistesse meno concorrenza. Apri una propria bottega dedicandosi appunto alla ritrattistica. Era la scelta giusta. Presto ebbe una clientele e un nome, non solo, ma gli venne assegnata persino il "premio Rittmeyer", una borsa di studio abbstanza consistente che gli consentì un soggiorno a Roma e dove preso in affittò un atelier in via Margotta. Un giorno, in mezzo ai curiosi, turisti e colleghi artisti, varcò casualmente la porta il famosissimo Cesare Pascarella. Fra l’artista poliglotta di formazione mitteleuropea e il poeta che esprimendosi nel dialetto romanesco ammantava di ironia il suo scetticismo esistenziale si instaurò un rapporto di amicizia, tanto incredibile ma altrettanto sincero, da durare nel tempo. L’esperienza romana, felice che Zangrando ricordava anche in tarda età, durò fino al giorno in cui ritrovò il collega Guido Grimani. Ritornò a Trieste per aprire una scuola di pittura con l’amico degli anni giovanili, il cui carattere tranquillo gli era, per così dire, complementare. L’atelier elegante era frequentato soprattutto dai turisti del nord Europa che scendevano a svernare a Trieste, dagli inglesi che vi facevano capo con le loro barche lussuose nonché dalla ricca borghesia austriaca con tempo a disposizione e denaro da spendere. Da queste nuove frequentazioni gli tornò l’impulso a viaggiare per completare le conoscenze non solo artistiche. Fra il 1902 e il 1904 visitò Vienna, Praga, Parigi, Bruxelles e Londra oltre ad altre città europee. Nel 1905 ritornò definitivamente a Trieste dedicandosi per intero al campo in cui s’era ritagliato uno spazio unico e apprezzato, il ritratto. Gliene commissionò uno anche Sofia Chotek, la contessa boema che, dopo il matrimonio con l’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono degli Asburgo, era stata elevata a duchessa di Hohenberg. La trasposizione sulla tela della bellissima nobildonna fu piuttosto laboriosa perché la coppia imperiale era soltanto di passaggio per Trieste, prima di imbarcarsi per una crociera. Ebbe solo il tempo per alcune prove, cui seguì numerosa corrispondenza con l’illustre modella e, persino, una trasferta del pittore in Boemia, nel castello avito di Konopiste. Ne valse tuttavia la pena, perché non solo venne lautamente compensato ma la duchessa, che sarebbe morta ammazzata col marito a Serajevo nel 1914, premiò il pittore con un prezioso anello. I pronipoti lo conservano ancora. Purtroppo nessuno sa dire invece dove è finito quell’importante lavoro, se in un museo o in qualche castello degli Asburgo? Nel 1906 Zangrando sposò la bella e benestante Miete Schmidt, già sua modella e, nello stesso anno, partecipò per la prima volta all’ Esposizione internazionale di Venezia presentando un suo ritratto. Negli anni seguenti partecipò su invito, e quasi sempre con ritratti, a mostre in svariate città di lingua tedesca, Monaco, Budapest, Vienna, Berlino. Nel 1911 espose anche a Firenze e a Roma. A Torino ottenne una targa speciale nella mostra intitolata "Trento-Trieste". Allo scoppio della guerra nell’estate del 1914, per evitare le quasi certe angherie che gli avrebbe certamente recato il nome e la sua origine italiana a lui nato e cresciuto in Austria, riparò con la moglie e il figlioletto Tullio in Toscana. Zangrando era bensì un profugo ma d’alto bordo, perciò gli riuscì di entrare in familiarità con gli artisti toscani del paesaggio, e così i cinque anni tornarono utili per la professione. Sotto il loro influsso “tentò quel percorso che era naturalmente di tendenza, ancora più peculiare perché non rientrante nella formazione mitteleuropea, anzi a dir poco lontanissima”, come ha scritto il critico Mazza. Ritornato a Trieste, frattanto divenuta italiana, il pittore si immerse nella temperie politica partecipando al pullulare di mostre con ritratti così carnali ma pure con i paesaggi, dove anche la neve sentiva di dolcezza toscana. Sponsorizzato dal Circolo artistico triestino espose più volte a Udine, a Venezia e ancora a Roma. Dal 1922, e quasi ininterrottamente fino al 1938, ebbe sue opere alla Galleria permanente di Trieste, con costante successo per "l’amabile repertorio apprezzato dal pubblico", come scrissero i critici ancorché intriso da "un certo manierismo mitteleuropeo". Il suo rapporto con loro non fu sempre felice, come avviene spesso nel mondo dell’arte. Marta Mazza, in occasione di una bellissima mostra dedicata dal comune di Vodo a questo suo lontano “figlio”, lo ha analizzato in profondità. “Beneficiato di una fertile vocazione precocemente espressa ... regala spunti di sapore internazionale ..(egli) appartiene a Trieste, dove ha contribuito a creare una generazione di artisti“. Giovanni Zangrando si è spento serenamente nel 1941.

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