Biografia cadorina
Vendramino Soldano
VERO MODELLO PER DOTTRINA E BONTÀ
di Bruno De Donà
Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di Marzo 2010
Panegirico del Cadorin sul virtuosissimo Soldano, pievano di Vigo e poi arcidiacono del Cadore a Pieve nel 1488. Fu uomo contenuto e misurato, non aspettò che i poveri andassero in canonica.
Va senza dubbio considerato come uno dei personaggi di risalto nel panorama della storia religiosa del Cadore. Alla sua fama contribuì la penna dell’abate lorenzaghese Giuseppe Cadorin, cultore di belle arti e di storia locale, che ne tracciò un profilo biografico. Parliamo di Vendramino Soldano (1445-1516), Pievano di Vigo e Pieve e successivamente arcidiacono del Cadore. Cadorin ne tratteggiò la figura attraverso una memoria consegnata alle stampe nel 1842 in occasione della messa novella dell’abate Pietro Zuliani della Porta di Ferro di Perarolo. Va premesso che i Soldano o Zoldano, come indica il cognome, provenivano da Zoldo. Nella prima metà del XIV secolo se ne trova traccia in due rami familiari stabilitisi, rispettivamente, a Laggio e Lorenzago. I discendenti si spostarono a Lozzo e Pieve, dove un Matteo Soldano, nel 1508, sposò Caterina Vecellio, sorella di Tiziano, divenendo il ceppo di una schiatta di ragguardevoli personaggi che si estinse nel 1732 con Giangiacomo, cancelliere della Comunità. Ma torniamo ad occuparci del nostro Vendramino, che era stato ordinato diacono l’11 giugno 1468 a Treviso, dove risiedeva suo Padre Giovanni, e lasciamo la parola al Cadorin: “ Fornito d’indole la più soave, e di un cuore tutto inclinato alla beneficenza, fino dai più teneri anni die’ segni certissimi delle nobili azioni,che coronarono la sua vita. Per dottrina e per bontà di costumi fu vero modello de’ tempi suoi ”. Risulta fosse anche studiosissimo nel campo di arti e scienze. Divenuto uomo di chiesa, lo studente passò presto maestro, giungendo ad essere nominato arcidiacono nel 1488. Solenne fu il suo ingresso, e durante la cerimonia recitò un’omelia che il suo biografo definisce “scarsa di parole ma piena di cose ”, tanto che fin da quel momento si sparse la voce delle sue qualità oratorie. Certo non tutti i passaggi del messaggio dell’erudito abate furono alla portata del vasto uditorio, per larga parte popolare. Ma a pesarne il valore furono esponenti del clero più dotto del Cadore, nonché uomini di legge che erano venuti ad ascoltarlo. Lungi dal cedere alle facili lusinghe derivategli dalla constatazione delle proprie capacità, Soldano predilesse in futuro la semplicità e la chiarezza per farsi comprendere anche dai più semplici. Precisa Cadorin che “ scriveva i suoi sermoni, perché avea in aborrimento i fatti all’improvviso, giudicandoli parti mostruosi, e non degno d’un Pastore allorché tratta di manifestare al popolo i misteri e le opere della Divinità ”. Seguiva le regole imposte dall’arte oratoria nella sequenza degli argomenti affrontati, la purezza del linguaggio e le parole appropriate, sempre attento a non annoiare, conscio del fatto che - annotava l’abate di Lorenzago - “ mentre le cose portate a lungo sebbene bellissime infastidiscono talvolta non solo le menti degl’incolti, ma ancora quelle degli spirito i più svegliati ”. Insomma un uomo contenuto e misurato: “ Fuggiva le proposizioni dubbie, incerte, e non utili al bene dei fedeli. Brevi erano i precetti, e spiegati per via di parabole, di similitudini, e di esempi scelti dalla Scrittura e dai Padri ”. Forse la prudenza fu davvero una delle sue caratteristiche più evidenti. Lo si notava quando affrontava questioni spinose o intricate che si tramutavano in altrettante cause sottoposte al foro arcidiaconale. Semmai aveva un dubbio, non tardava a documentarsi a fondo sulla materia in oggetto, magari consultandosi con i migliori giurisperiti a portata di mano. Riportiamoci però alla cerimonia di insediamento. Dopo la funzione, acclamatissimo, fece il suo ingresso in canonica. E lì si occupò dei poveri, evidenziando nella circostanza tatto e sensibilità: “ Non aspettò i poveri alla sua porta, corse in traccia di loro, studiò la natura delle loro sofferenze, ed il modo di alleggerirle senza rattristare lo spirito, ed accrescere i loro mali col fare ad essi provare il peso del rossore, e della vergogna ”. Largo in ospitalità, fece in modo che ne godessero religiosi, importanti visitatori e comuni pellegrini, che ne dovevano constatare lo stile di vita contenuto. Cadorin ci dice in proposito che “ Temeva più della morte le terribili conseguenze della colpa, e ad assoggettare le passioni alla ragione sentiva la necessità di mortificarsi e di vivere con sobrietà, con modestia, con temperanza ”. Coerentemente, questo prelato cadorino di oltre cinquecento anni fa che oggi definiremmo molto aperto al “sociale ”, esigeva che alla purezza dell’animo corrispondesse la pulizia esteriore del corpo. Cadorin chiarisce che “ tenea opinione che la decenza del vestito fosse convenevole al grado sacerdotale, come disdicevole il seguire la volubile moda scolaresca, od il coprirsi di cenci al fine di mostrare quella filosofica austerità, che tanto si lodava nel cinico Diogene ”. Puntava sul buon esempio: non dando a vedere in sé alcuna cosa spiacevole nell’intelletto e nel vestito, anche il suo gregge si abituava ad apprezzare, allo stesso tempo, i valori della mente e la pulizia tanto personale che collettiva. “ Questa laudabile costumanza - osservava il biografo - liberava il popolo da schifosissime malattie contagiose, e le case da quelle infezioni che sogliono succedere in chi non si cura della nettezza ”.
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