CULTURA CADORINA

Nomi desueti nei lavori boschivi

Eʼ ormai difficile districarsi tra taie, boai e risme

di Marcello Rosina

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di Agosto-settembre 2009

Il discorso che farò sembrerà ai più un linguaggio per iniziati, adatto cioè a chi ha una conoscenza sicura su di un determinato argomento. E questo argomento è il legname con alcune delle sue implicanze. Già il nome di taia, che sta per tronco, indica che solamente coloro che armeggiano nel bosco sanno riconoscere immediatamente quanto sto scrivendo. Ma se si prosegue con zochi da schei dove zochi sta per ceppi e schei per denaro, oppure per remi da mercanzia, scorza od anche tressi che sono quei legni usati per le seggiole, i piuoli che servono a tenere unite le scranne), allora qualche spiegazione risulta essere del tutto utile perché si tratta ormai di nomi del tutto desueti.

Ad esempio: il dessalvo. Nel Vocabolario ampezzano sta per disboscare radunando i tronchi e specifica che i legnami mercantili, una volta tagliati, restano al posto del taglio perché spesse volte impraticabile alle bestie da tiro. Sul tardo autunno, quando il terreno diventa sdrucciolevole o per piogge cadute o per il primo gelo, allora i tronchi vengono radunati in luoghi opportuni per la condotta, facendoli scivolare giù per i canaloni ripidi. Due sono i comuni sistemi di dessalvo: i boai e le risme. Si usano i boai quando il tratto da percorrere è breve, diritto ed in forte pendenza; le risme, invece, quando il tratto è lungo, con svolte e minore pendenza. Il boai, sostanzialmente, è una cunetta naturalmente scavata, dall’alto al basso, sul dorso del monte, entro la quale vengono precipitate le taie. A furia di farle scivolare si scava sempre di più nel terreno e si finisce col servire meglio allo scopo. Se poi vi è a portata di mano dell’acqua, la si getta sopra ed allora le taie... volano. La risma è un sistema al quanto più complesso perché più lunga dei boai e può essere paragonata ad un vero e proprio canale, fatto con le taie stesse. Quelle che formano la sponda sono esternamente fermate con paletti, quelle del letto sono fermate testa contro testa. Le lunghezza della taia (quattro metri) costituisce un segmento della risina la quale ne può contare anche qualche centinaio.

Ecco la memoria sul contratto da farsi per la condotta delle taie tra la Regola di Calalzo e quella di Padola:

“1°- La strada dovrà esser a peso della Regola idest tanto li danni che venissero fatti nel condurle dal Capitello più nei boschi di Padola, anzi dovrà essa Regola monirsi della licenza e permesso; 2°- Non saranno tenuti li compagni ad alcuna responsabilità per rotture di taglie nel condurle e altrimenti; 3° - Si ricerca se si abbia di separ le misure, se si abbia di cancellarle, o lasciarle in massa come vengono condotte. Li pagamenti saranno d’accordo fissati e stabiliti prima del taglio cioè in marzo, e parte prima.”

Una volta raccolte le taie, venivano spedite via acqua, tramite il Piave, a Venezia. Al trasporto ci pensavano i menadas i quali, come i loro compagni europei che usavano gli stessi mezzi (spagnoli, francesi, tedeschi, svedesi, finlandesi, austriaci), erano estremamente capaci ed idonei. E cosa si ricavava poi dalle taie? Si poteva scegliere tra: tolle, ponti, palancole, tavole da scandola, fetoni grossi, cantinelle, seurette, scorzi, sottoscorzi e scorzoni da fondamenta, refudo o armatura, colmetti, colmuzzi, sfiladette, moralli, montapiù, sbarre e zappoli.

Con tutti questi tipi di legname poteva succedere che il marico (sindaco) di Pieve di Cadore, il signor Giuseppe fu Lodovico Genova, il 20 aprile 1797 inviasse un dispaccio urgente ai colleghi e capi carissimi del circondario perché ne era del tutto sprovvisto:

“Mi può capitare da un momento all’altro, e forse di notte, quantità di soldati, come potrò somministrargli d’occorrenti legna, se sono affatto senza? Attendo due passa de legna, per valermi alle occorrenze non essendo così dolce di cuore di farmi gettar la testa a terra, o di spedir un picchetto di soldati per vizza, per la mancanza della legna medesima.”

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