BIOGRAFIA CADORINA

UN PIEVANO FUORI DAGLI SCHEMI

Dalle carte d'archivio emerge la figura di Matteo Pilotto, piovan meritatissimo de S. Martin da Vigo e buon diplomatico

di Walter Musizza e Giovanni De Donà

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di Aprile 2012

"Piovan meritassimo de S. Martin da Vigo”: così fu definito Matteo Pilotto in alcuni documenti e come tale figura nel prezioso studio “I Pievani di Vigo” di Antonio Ronzon. Ma a ben spulciare le carte dell’archivio della Magnifica Comunità di Cadore e del registro dei conti del “Comun d’Oltrapiave” e del “Lume di S. Orsola”, si trovano ulteriori notizie interessanti su di lui, capaci di rendere, dopo quasi 500 anni, il ritratto autentico dell’uomo. I parrocchiani lo chiamavano semplicemente “Pre Matio” ed era figlio dei suoi tempi, di un Cadore povero, dove “alcun forestier non potria star in questi monti sterilissimi et penuriosi dove si conpra fin il sole”, di un mondo e di un tempo che plasmavano la popolazione rendendola dura, a volte selvatica.

Figlio di Baldassarre fu Bartolommeo, nacque a Laggio, discendente di una famiglia illustre, dalla quale si diramarono i Pilotti di Laggio e di Vigo e che, dopo di lui, diede parecchi sacerdoti, fra i quali quattro pievani e un arcidiacono. Nel 1544 egli era cappellano di Santa Orsola, probabilmente dopo il Pievano Domenico Giacobbi. Figura per la prima volta come Pievano di Vigo in un testamento del 24 gennaio1553 ed abitava nel Casón di Santa Orsola, forse perché la vecchia canonica di Vigo, in legno, era cadente. Il Ronzon ritiene sia diventato Pievano nel 1550 e la sua ipotesi è avvalorata dalla deposizione fatta dallo stesso Pilotto il 17 gennaio 1573 nella causa che verteva fra Pieve e Valle per la funzione del sabato santo, di essere cioè Pievano di Vigo da circa 23 anni. Il 24 maggio 1574 era presente alla riconciliazione della chiesa di Laggio fatta da mons. Luca Bisanzio, Vescovo di Cattaro. La chiesa infatti era stata riattata dopo l'incendio del 1540 e di conseguenza riconsacrata.

Il nostro viveva coi proventi del beneficio di S.Orsola, con le varie offerte che riceveva dalla popolazione, coi denari delle messe, dei pellegrinaggi e con le 14 lire che il Comune gli versava ogni anno il 15 di agosto “per sua mercede”. D’altra parte era uno dei pilastri della comunità, in cui il sacro si fondeva col profano, dove i ritmi della natura e del lavoro si fondevano con la fede e la credenza religiosa, regolando una quotidianità scandita da lavoro e preghiera. Al momento della monticazione del bestiame, il 16 giugno di ogni anno, egli benediceva gli animali e celebrava una S. Messa in S. Antonio Abate. Partecipava inoltre alle varie processioni annuali, a S. Candido in Pusteria, alla Madonna della Molinà, a S. Vigilio di Vallesella, a S. Leonardo di Grea, a S. Giorgio a Domegge, a S. Lucano e S. Caterina in Auronzo, a S. Osvaldo di Sauris, dove concelebrava la S. Messa.

Grazie alle sue conoscenze assisteva il Marigo nelle varie questioni che interessavano la sua comunità, come avvenuto ad esempio il 1° luglio 1578, quando era a Pieve per trattare con il Marigo di Lorenzago circa un pegno fatto “soto i pradi dantoia”, o il 31 marzo 1579, quando davanti a un “bochal de vin” risolveva “una diferencia contra Bastian marengon”. O ancora il 25 febbraio 1581, quando scriveva una lettera di raccomandazione al Marigo che doveva recarsi ad Udine da un avvocato per una causa coi fratelli Da Ronco. Figurava pure presente al momento della vendita del legname ai vari mercanti veneziani, aiutando il Marigo nella contrattazione o per fare i conti dei lavori boschivi, come il 28 ottobre 1578, allorché si trovò all’osteria di Greguol de Zaneto per pagare “le carezadure de le antene” dal bosco di Tamber fino all’altariol di Piniè.

Il Pilotto non disdegnava dunque di intrattenersi nelle osterie del Cadore, come quelle “de Nane da Pieve”, e soprattutto quando era di ritorno verso casa in quella di “ser Zorzi Barnabò a Domegie” e “ser Leo de Boneto” a Lozzo. Amava soprattutto la buona compagnia dei paesani davanti ad un buon piatto ed un “bochal de vin” nelle osterie di Vigo e Laggio. Quando la sua amata comunità rischiò di essere defraudata di pascoli o boschi, ecco che intervenne con energia in sua difesa, perorando la giusta causa presso il Vicario e il Consiglio della Magnifica Comunità, con l’aiuto del Cav. Vecellio, dei Genova e dei Bionda, mercanti di legname, nonché dell’Ufficiale di Pieve. Così fece pure nell’agosto del 1577, quando i vigesi si attivarono con tutti i mezzi (legali e non) contro il Consiglio della Magnifica per la conferma delle vizze di Razzo e Campo o nella vertenza per “i porti”, quando la tensione salì alle stelle e gli uomini di Vigo, per intimidire il Consiglio della Magnifica Comunità, si presentarono a Pieve armati “de schiopi, cortelli, spade, et pugnali” col Pievano in testa anche lui armato, minacciando di fare una strage. Una lettera anonima, conservata all’Archivio della Comunità (Busta 119, cartella 159) lo accusò duramente, definendolo “persona superba, arrogante, maligna, maldicente, sediciosa, risosa, scandalosa, deshonesta et di vita cativissima… contra ogni dover, et justitia se ingerisse in cose che a lui non apartiene suscitando popoli a litigar contra la comunità” e spiegando come trascurasse i suoi doveri religiosi comportandosi “come vagabondo che attende solamente alle conpagnie, hora in quella taverna, hora nel’altra a manzar et bever”.Il nostro Pievano, evidentemente più portato per la vita politica che per la vita religiosa, si spense all’improvviso nell'aprile 1582. Il suo corpo fu riposto nel tumulo dei sacerdoti nella pievanale di S. Martino di Vigo e sopra vi fu stesauna semplice “malta”.

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