ARCHEOLOGIA CADORINA

LOZZO, LA NECROPOLI PERDUTA O FORSE NO

Le scoperte archeologiche recenti in Cadore sono lʼultimo capitolo di una storia che iniziò a Lozzo 150 anni fa. Nella primavera del 1881 Francesco Barnabò trovò fibule, anelli, vasi cinerari contenenti ossa e ceneri. Poi si rinvennero 13 tombe e un cippo con iscrizione etrusca graffita.

di Walter Musizza e Giovanni De Donà

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di giugno 2013

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 Riproduzioni dell'abate Giuseppe Ciani
Qualcuno è arrivato addirittura ad assegnare a Lozzo il titolo di “Pompei cadorina”, in virtù degli eclatanti ritrovamenti avvenuti già nel lontano 1852. Durante i lavori di scavo per le fondamenta di una casa nel podere di certo Stefano Baldovin, ad est del paese, in località “Brodevin”, si rinvennero infatti diversi antichi oggetti in tombe di varia forma, che purtroppo andarono successivamente perduti e si possono vedere oggi solo riprodotti nella “Storia del popolo cadorino” dell’abate Ciani. Nella primavera del 1881, Francesco Barnabò volle a proprie spese effettuare nuovi scavi presso la casa Baldovin e, a circa 1 metro e mezzo di profondità, trovò prima piccoli oggetti di bronzo, di rame e di ferro, cioè fibule, anelli, frammenti di vasi, e quindi circa 30 vasi cinerari, con all’interno ossa e ceneri. Alla profondità di 3 metri e mezzo si rinvennero poi, tra il 19 e il 30 marzo, 13 tombe con lastre di ardesia, contenenti ossa combuste, nonché un cippo di ardesia con un’iscrizione etrusca graffita. Il 1° di aprile dello stesso anno venne alla luce invece uno scheletro con un orecchino di bronzo e diverse perle di vetro di color azzurro, mentre nei giorni seguenti furono trovate ancora molte altre tombe, con anelli, fermagli, fibule, monete (di Antonino e di Faustina), aghi, vasi di ferro, spade spezzate, coltelli, placche per cinture, spezzoni di lancia, lucerne di bronzo... G. Monti, che relazionò sugli scavi effettuati fino al 29 aprile (“Notizie degli scavi”, 1881) ci enumera decine e decine di tombe che testimoniano la presenza a Lozzo di una vera e propria necropoli di età preromana e romana. Il Barnabò intraprese anche altri scavi in località “Piazza della Croce”, presso “Tamber”, incoraggiato dal parere espresso dal Ciani, secondo il quale il paese in antico doveva essere situato più in alto, scomparendo poi sotto un’enorme frana del Monte Mizzoi. Il paese infatti si trovava ubicato alcuni secoli fa nella valle Longerin e lì rimase fino al 25 gennaio 1348, allorché un fortissimo terremoto provocò un'enorme frana che staccatasi dal Monte Mizzoi, lo seppellì completamente. Quindi i numerosi reperti archeologici rinvenuti in varie occasioni e in diverse località del comune testimoniano esaurientemente la diversa collocazione delle borgate in epoca romana e medievale. Qui, il 22 aprile, a sinistra della strada che discende dalla Val Longiarin, ad una profondità di circa 1 metro e mezzo, si scoprirono dei muri di una abitazione alti un metro e l’imboccatura di un forno, dalla quale si diramavano molteplici meandri in diverse direzioni. Si trattava di un “ipocaustum”, ovvero di un sistema di riscaldamento tipico dell’antica Roma, basato sulla circolazione di aria calda entro cavità poste sotto il pavimento e nelle pareti, e non di un edificio termale, come ingenuamente si pensò allora.
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  Necropoli di Lozzo da una foto aerea austriaca del 1917
Il giorno 26, vicino al forno si scoprì una stanza di m 4 x 2, con in un angolo un manico di “situla” (secchia metallica) ed una moneta, peraltro irriconoscibile. Secondo una più moderna analisi fatta recentemente da Michele Domini appassionato di archeologia (ha scoperto 10 anni fa il sito sull’isola del lago di Centro Cadore), ci troveremmo di fronte ad un piccolo abitato di epoca romana, con annesso un grande recinto per pecore e capre, da cui appunto il toponimo di “Tamber”. La famiglia che la gestiva probabilmente sfruttava, assieme alle altre di Lozzo, i ricchi pascoli di “Sovernia” (Sopra-Vernia), l’attuale Pian dei Buoi. E proprio da “Tamber” partiva una delle importanti vie della monticazione verso l’altipiano, sicuramente frequentato fin dall’età del ferro. Che poi Lozzo in periodo preromano e romano fosse un importante centro per l’allevamento di ovini e caprini, una vera ricchezza per l’epoca, lo testimoniano le numerose ossa ritrovate appunto nella necropoli di “Brodevin”. Ancor prima, il 6 aprile, sopra il colle di “Tamber”, a nord della Piazza della Croce, fu rinvenuto un denaro d’argento della famiglia Baebia ed il 29 dello stesso mese furono riportati alla luce dei muri appartenenti all’antica torre ricordata dal Ciani nella sua “Storia del Popolo Cadorino”, con annessa una stanzetta contenente uno scheletro umano. Potrebbe anche trattarsi, sempre secondo il benemerito abate, di una del “gruppo di torri che guardava il vico di Lozzo” ad un miglio dalla “Chiusa, che sorgeva presso l’attuale “Ruoiba”. Successivi e più documentati studi effettuati da G. Ghirardini nel 1883 portarono ad interessanti sviluppi scientifici, ma la conclusione rimase in definitiva quella emersa fin dall’inizio, e cioè che a Lozzo si ravvisavano, in un tratto di terreno di dimensioni contenute, ben due distinte necropoli, una senz’altro di età romana, l’altra (di ben 77 tombe!) risalente ad epoca più antica. Il notevolissimo numero di reperti allora catalogati e descritti portò ad utilissimi confronti con altre località assai rinomate dal punto di vista archeologico, come Villanova, Este, Bologna, Cavarzano... Oggi possiamo dire che la necropoli più antica è davvero importantissima per lo studio della frequentazione in queste valli, giacché gli oggetti ritrovati si riferiscono all’VIII secolo a.C. (periodo Halstattiano), mentre le sepolture più recenti sono riportabili al periodo La Tène (III a.C.- I d.C.). Un vero peccato che dell’antica necropoli oggi non rimanga più niente e il suo sito appaia invaso da diverse abitazioni. Ci viene in aiuto però una vecchia fotografia aerea della ricognizione austriaca (15a FLIK) del 1 ottobre 1917, in cui si possono notare diverse cose davvero interessanti, alcune delle quali potrebbero ancor oggi giustificare un saggio archeologico. Nel 1917 tutta la zona era ancora agricola, quindi sgombra da case e vegetazione, situata in posizione elevata rispetto all’abitato e lambita a monte dalla antica strada romana diretta verso la Chiusa di Loreto e quindi Gogna. Sul vasto pianoro a sud e ad est della casa Baldovin, sono ben visibili nell’immagine 24 cerchi, di un diametro variabile dai 5 ai 10 metri: essi sono probabilmente i resti dei tumuli che contenevano le sepolture. Infatti proprio il Monti nel 1881 ricordava come i gruppi di tombe più antiche, ognuna delle quali formate con lastre di ardesia infisse nel terreno, come una scatola, erano disposte in circolo. Quindi la necropoli sarebbe molto più vasta rispetto a quanto indagato allora. La foto austriaca evidenzia poi, a circa 80 metri ad est della casa Baldovin, un notevole semicerchio, rialzato di circa 10 metri rispetto al piano della necropoli. Ancora oggi questo prato è chiamato dai lozzesi “al zercio” (il cerchio) e ad un’attenta osservazione si nota come il perimetro sia cinto da un “aggere” (terrapieno). Secondo Michele Domini potremmo essere di fronte ad un piccolo “oppidum”, cioè una fortificazione celtica atta a proteggere gli abitanti del villaggio nel caso di incursioni nemiche. Poi ancora più in là compaiono altri segni sul terreno, simili a quelli riscontrati presso Lagole e Vigo. Forse potrebbero essere i siti delle torri all’interno di altrettanti “oppida” che guardavano il vico di Lozzo, ricordate sempre dal Ciani. Quindi la necropoli di “Brodevin” nasconderebbe ancora un inestimabile tesoro culturale, che meriterebbe davvero di essere riportato alla luce e messo a disposizione delle nuove generazioni. In un periodo di crisi in cui in Cadore ci si interroga sul futuro, una riscoperta della necropoli, assieme ai recentissimi scavi del M. Calvario ad Auronzo ed a quelli di M. Croce, offrirebbe un ulteriore “valore aggiunto” all’offerta turistica del territorio.

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