STORIA CADORINA

I CORTE METTO

RICCHI COMMERCIANTI DI LEGNAME

di Bruno De Donà

Articolo tratto dal mensile Il Cadore pubblicato nel mese di giugno 2012

Tra le dimore storiche del Cadore l'imponente palazzo Corte Metto, oggi sede museale, mantiene l'immagine del prestigio dell'omonima ricca famiglia che vi dimorò. Le prime notizie riguardanti il signorile edificio si trovano nel Catasto del 1816. Quanto a coloro cui appartenne, Giovanni Fabbianinel suo libro "Auronzo di Cadore" ricorda che in paese nel secolo XIV esisteva un "loco dicto ad cortes", aggiungendo che nel 1600 era diffuso solo il cognome da Corte. Successivamente qualche discendente dal ceppo comune tralasciò il "da" ed oggi esistono sia famiglie Da Corte che "Corte". Un ramo si distinse particolarmente: quello derivato da un Giacomo da Corte, che si cognominava "de Metto". Della sua posizione e preminenza economica la dice lunga il fatto che fu in grado di prestare al Comune di Auronzo ben 1000 ducati. I Corte Metto accumularono ricchezze con il commercio di legname. Ma entrarono ufficialmente nel gotha dei proprietari fondiari veneti nell'Ottocento, allorché acquisirono il latifondo di Ca' Tron nel Trevigiano, dove tuttora se ne serba memoria. Anche se la fine fu tutt'altro che gloriosa. Risalendo indietro nel tempo, Ca' Tron, oggi compresa nel Comune di Roncade, consisteva in una larga estensione di terreni che in epoca medievale appartenne alla famiglia dei Conti di Collalto, Signori di Treviso e, nella parte più prossima al Sile, ad alcuni monasteri. Nota anticamente come Col di Meolo, in quanto vicino a quella località, la tenuta nel XVI secolo venne acquistata dalla potente famiglia dogale veneziana dei Tron, la quale vi installò un'azienda agricola. Nel XVIII i Tron adibirono quei terreni a risaie, il che portò all'insediamento di nuclei familiari. A metà del Settecento - annota lo studioso trevigiano Ivano Sartor nel suo "I latifondi e la Comunità di Ca' Tron" - l'estensione coltivata a risaie raggiungeva i 245 campi e mezzo, saliti a 267 nel 1772". Al tramonto della Repubblica Veneta l'ampio latifondo passò per buona parte dai Tron ai Mocenigo, altra illustre prosapia veneziana. A inizio dell'Ottocento l'ultima discendente dei Tron cedette quel che restava al patrizio veneto Girolamo Morosini. Questi fra il 1833-34 vendette a sua volta al cadorino Giovanni Corte Metto, commerciante di legname di Auronzo, che viveva a Venezia in Campo San Marziale. Come era uso il proprietario non gestiva direttamente il latifondo ma si avvaleva di agenti in loco. Tra costoro figura un Francesco Barnabò De Meio, che apparteneva a famiglia in vista di Lozzo. Giovanni Corte Metto morì nell'aprile 1853, disponendo nel testamento la vendita di quanto possedeva in Cadore, a Venezia e a Ca' Tron. Le ricerche di Sartor attorno alle ultime volontà di Giovanni Corte Metto hanno consentito curiose scoperte. Alienate tutte le sue cospicue proprietà, divise la sua sostanza per un sesto tra alcuni suoi eredi e per i restanti cinque sesti tra sei enti religiosi, da lui stesso indicati, con l'obbligo di celebrazione di messe. Ne beneficiarono l'oratorio delle Grazie di Udine, i frati Minori conventuali della Basilica del Santo di Padova, i Padri Cappuccini, i Padri Riformati, i Padri Minori Osservanti di Venezia. Risulta che solo le prime due congregazioni poterono accettare le 30 mila lire per ciascuno loro destinate. Gli altri dovettero rinunciare per via delle rispettive costituzioni. Peggio decisamente andò a una quindicina di componenti del casato Corte Metto che, esclusi dall'eredità si avventurarono in un lungo contenzioso legale. Si trattava di Giovanni, Romeo e Augusto fu Giovanni; Antonio, Giovanni, Lucio fu Giacomo; Lucio-Luigi, Giacomo, Giovanni di Antonio; Vittorio fu Lucio; Giovanni, Liberale, Lorenzo, Lucio-Alessandro fu Liberale; Luigi fu Osvaldo. Finché la causa rimase pendente l'eredità restò bloccata e ogni attività cessò nella tenuta, che soffrì del più totale abbandono. La situazione si protrasse fino al 1875, quando il tutto fu rilevato da un ricco ebreo padovano. A quel punto i cadorini Corte Metto sparivano per sempre.

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